Il Tatufo Nero di Bracca

Bracca è ritenuta la capitale bergamasca del tartufo Nella nostra provincia si trovano solo tartufi neri, durante il periodo di raccolta da giugno fino a marzo. l esposizione dei nostri monti e il clima fattori ambientali permettono la crescita del tartufo nero, questo pregiato frutto della terra è entrato a far parte della nostra cucina e nella stagione di raccolta l´agriturismo ca´ di franchi offre piatti della tradizione preparando prelibatezze al tartufo.

IL NOME

L´origine della parola tartufo fu per molto tempo dibattuta dai linguisti, che dopo secoli di incertezze giunsero alla conclusione, ritenuta probabile ma non definitiva, che tartufo derivasse da territùfru, volgarizzazione del tardo latino terrae tufer (escrescenza della terra), dove tufer sarebbe usato al posto di tu- ber. Anche se, in effetti, i latini chiamavano questo fungo terrae tuber, Il termi- ne si contrasse poi in terra tufide fino a diventare nei dialettali tartùfola, trifula, tréffla, trifola, e con questi nomi il termine tartufo cominciò a diffondersi non solo in tutta Italia, perchè nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in Europa assumendo varie dizioni: truffe in Francia, Trüffel in Germania, truffle in Inghilterra.
La storia del tartufo è antica quanto la storia degli uomi- ni che da millenni lo cerca- no e lo apprezzano quale signore di ogni mensa e gioiello di ogni pietanza che lo incontra. Anticarnen- te si credeva che fosse una concrezione prodottasi in seguito agli effetti della ca- duta del fulmine al contatto con il terreno, e questa ipo- tesi certamente contribui ad accrescere l´alone di mi- stero che per tanti secoli ha avvolto questo frutto della terra.

LA STORIA

Il tartufo era largamente conosciuto nel bacino del Mediterraneo perché sap- piamo che già i Babilonesi (3000 a.c.) durante i loro banchetti più suntuosi, consumavano la (terfezia leonis) il tartufo degli arenili dell´Asia Minore, e che poco più tardi (2600 a.c.) il faraone Cheope preparava fastosi banchetti con grandi quantità di tartufi cotti nel grasso d´oca con ag- giunta di erbe aromatiche. Ma furono sicuramente gli antichi Greci a valorizzar- lo anche dal punto di vista della conoscenza botanica. Pitagora pensava che il tartufo fosse in realtà il frutto di Venere, molto nutriente e che disponesse gli uomini alla voluttà. Teofrasto di Ereso che era uno degli allievi prediletti di Aristotele, nella sua opera botanica Historia Plantarum descrive i funghi come piante imperfette perché prive di radici, foglie, fiori e quando si sofferma sui tartufi li immagina originati misteriosamente dall´incontro dell´acqua con il ful- mine. Plutarco di Cheronea (I° secolo d.c.) volendo descrivere l´origine del tartufo, citò la tradizione mitica secondo la quale il tubero nasceva per volontà di Zeus, padre degli dei, il quale scagliando il suo fulmine sulla terra durante i temporali dava origine al tartufo

Anche i Romani conoscevano e consumavano i tartufi, in particolare le terfeziel temporali dava origine al tartufo.

o tartufi della sabbia provenienti dalla costa mediterranea dell´Africa. Plinio tartufi della sua Naturalis Historia, lo descrire, piantarella terra fa que che nascono ma non si postura e pianta prodigiosa dono del le cose chassimo miracolo della natura. In ogni caso Plinio mette in evidenied gielnto il tartufo fosse apprezzato dai Romani che avevano raccolto l´uso ca L d d nurio dagli Etruschi. Con il XIV secolo ha inizio il Rinascimento, quel periodo te nario dante che segnerà la congiunzione del basso medioevo all´età moder na caratterizzato da grandi sconvolgimenti di carattere culturale, economico politico e sociale. Lo scenario del grande cambiamento coinvolge anche la Dastronomia, ed il tartufo ritorna ad essere apprezzato ed utilizzato quale cibo affinato sulla tavola dei ricchi signori. In Francia viene largamente consumato il tartufo nero, mentre in Italia si diffondono sempre più i profurni ed i gusti del tartufo bianco; sono quelli gli anni in cui famose e nobili gentildonne qual Caterina de´ Medici e Lucrezia Borgia apprezzandone i profumi ne fanno di chiarata esigenza per le loro mense e per i prestigiosi banchetti delle loro cor- ti. I tartufi pertanto, tornano ad essere simbolo di ricchezza e prestigio delle tavole più raffinate, esigenti e ricche. Trecento anni dopo, nel XVIII secolo, i Savoia sovrani del Piemonte, li utilizzavano come dono diplomatico, inviandoli di frequente presso gli stati con i quali intrattenevano relazioni politiche. Intanto verso la fine del XVI° secolo era stato inventato e andava rapidamen- te diffondendosi, l´uso del microscopio, e fu proprio con l´ausilio di questo strumento che gli studi sul tartufo subirono una straordinaria accelerazione. Un primo saggio di micologia, venne pubblicato nel 1564 a Padova, ed era curato dal medico (medicus phisycus) Alfonso Ceccarelli, in effetti si trattava di un vero trattato scientifico intitolato Opusculus de tuberis, dedicato a ricerche e analisi sui tartufi di Spoleto e del suo territorio in particolare. In seguito altri studiosi riservarono le loro ricerche al genere Tuber, come ad esempio Michel- Jean De Borch, erudito naturalista e viaggiatore polacco che, durante un lun- go soggiorno in Italia verso il 1780, pubblicò una monografia intitolata Lettres sur les truffes du Piemont, con particolare riferimento al Tuber Albidium ed al Tartufo bianco). Poco più tardi, anche il medico torinese Vittorio Pico, awio lo studio sistematico del tartufo bianco che nel 1788 classificò come Tuber Magnatum, definendolo pertanto tartufo dei potenti, che in seguito prenderà il nome botanico di Tuber Magnatum Pico. Nel 1831 il dottor Carlo Vittadi ni, naturalista dell´orto botanico di Pavia, pubblicò un´opera scientifica in cui docriveva le caratteristiche botaniche di pubblico un´operasie di tartufi la Monographia Tuberacearum, prianiche di ben 51 specie diverse di tanto allo Medio del genere, ed ancora oggi molte specie portano il suo nome: Tuber Melanosporum Vittadini

Andare per tartufi non significa esercitare la sola attività di cerca del fungo, bensì mantenere vivo quello straordinario ed armonico rapporto che deve in- tercorrere tra l´uomo e l´ambiente in cui vive, soddisfacendo ogni volta quella ancestrale necessità di contatto con la natura di cui siamo parte integrante. Lo stesso rapporto simbiotico che si sviluppa tra il tartufo e la specie arborea ospitante, avviene tra il tartufaio ed il bosco naturale quando il primo si accin- ge nella sua azione di cerca. Il bosco è vivo, cresce e respira e ci basta un poco di silenzio intorno, per ascoltare distintamente la sua voce. Ogni volta che il tartufaio esce di casa per cominciare il suo giro di cerca, da inizio ad un dialo- go composto di visioni, rumori, profumi e sensazioni che insieme risvegliano, appagandole di gradevoli sensazioni, le nostre umane emozioni.


CERCA E CAVATURA DEI TARUFI


La cerca e la cavatura del tartufo, il più delle volte, sono state considerate per i loro aspetti più materiali e razionali insieme. E´ per tale motivo che nell´imma- ginario comune valutiamo queste azioni dal solo punto di vista gastronomico e commerciale, pure molto importanti. Se invece ci soffermiamo un poco cer- cando di scrutare nelle pieghe dell´argomento, possiamo prendere visione di una realtà assai più articolata e complessa. La tradizione delle cerca e cavatura di questo fungo prezioso ha origini molto lontane, anche se solamente a par- tire dagli anni sessanta del secolo scorso è venuto a crearsi un grande interes- se gastronomico assegnando ai tartufi anche un rilevante valore commerciale. Con l´aumentato interesse economico, la cerca del tartufo ha assunto i contor- ni di un´arte personale, esclusiva e riservatissima, anche perché come abbia- mo detto nei capitoli precedenti, il tartufo bianco pregiato, tipico dell´areale santagatese, vegeta solo spontaneamente e l´individuazione di una nicchia di produzione (nel territorio la chiamano caccia), diventa oggetto di assoluta segretezza. Sono molti i casi in cui il tartufaio uscendo di casa si avvia in una direzione per poi, dopo un chilometro o due, andare nel senso opposto per trarre in inganno chi eventualmente possa averlo tenuto d´occhio per rilevarne le mosse. Sant´Agata Feltria, che al pari degli altri comuni ubicati all´interno della valle soffre il difficile equilibrio idrogeologico di un territorio molto vul- nerabile, vanta sul suo comune la presenza di circa tremila ettari di superficie boscata con anche la presenza di una miriade di torrenti e fossi, che insieme, costituiscono l´ambiente migliore per lo sviluppo dei tartufi bianchi pregiati e luogo ideale per lo sviluppo di una tradizione di cerca e raccolta oramai antica di secoli.